domenica 6 dicembre 2015

Verdena@Torino





I Verdena tornano a Torino, per la terza volta in un anno, questa volta all’Hiroshima Mon Amour. Siamo in pieno tour promoziale di Enkadenz Vol.2, quindi rispetto alla data dello Spazio211 della scorsa primavera c’è un nuovo disco da cui attingere e rispetto al Todays Festival un paio di brani di tale release sono già diventati irrinunciabili. Sul web in questi giorni sono apparsi alcuni splendidi esemplari di nuovi detrattori, quelli che indicano che ormai la band hanno superato anche quest’altra soglia di notorietà.

Si leggono domande come “chi porta la chitarra?”, piuttosto che “davvero tre volte in un anno? Basta, spero vi sfascino il locale”. Inutile dire che nell’ultimo anno i live del trio bergamasco non sono filati tutti lisci, anzi, non stupisce più nessuno sentir dire che l’ultimo concerto dei Verdena è stato interrotto bruscamente da una scenata di Alberto, con tanto di insulti ai fonici e chitarre frantumate. Eppure la risposta alla domanda retorica “davvero tre volte in un anno?” è “sì, davvero”, perché per la terza volta all’ingresso della location, la sera dell’evento, si possono leggere le due paroline magiche: SOLD OUT. Quindi perché no? La gente vuole vederli dal vivo e magari al pubblico torinese questo brivido del non sapere come andrà a finire piace pure. Di sicuro si è venuta a creare questa strana situazione per cui se uno show va per il meglio allora è un bene esserci stati. Nel senso: chissà come potrebbe andare la prossima volta.

Alle 23 circa Alberto, Luca e Roberta prendono posto sul palco, accompagnati dalla new entry Giuseppe Chiara (seconda chitarra, tastiera e sintetizzatore). Si comincia in medias res, senza preamboli, con Cannibale che per un paio di minuti fa temere che la delicata alchimia dei suoni dei Verdena sia un castello di vetro pronto a creparsi da un momento all’altro. Invece no: tra Fuoco Amico I e Fuoco Amico II si raggiunge il giusto equilibrio. I suoni sono perfettamente amalgamati, le distorsioni vengono servite alla platea ossimoricamente con cura e violenza. E infatti la formazione appare compatta, serena, e anche il feeling con il pubblico è più che buono.







La scaletta ripercorre quasi per intero la tracklist del secondo capitolo dell’ultimo e complesso lavoro, mentre al Vol. 1 viene riservato uno spazio striminzito. Solo Puzzle e Un Po’ Esageri, che nel frattempo ci hanno messo solo qualche mese a diventare due classici del repertorio, cantati a gran voce. In tutto questo non mancano quelli che classici lo sono per davvero, come Muori Delay, Nova o Mina, ma con un sound così grezzo e un’attitudine così grunge diventa quasi irrilevante la sequenza dei brani. E non me ne voglia chi rimpiange l’assenza di pezzi storici come Starless o Valvonauta. Vedetela così: la terza volta in un anno, non sarà di sicuro l’ultima.
 
Luca Ferrari alla batteria è una furia e insieme alla solita adorabile Roberta e i suoi potenti giri di basso forma una sezione ritmica che quando è in tiro, come all’Hiroshima, rappresenta tutto ciò che le band alternative rock italiano invidiano ai Verdena, di fatto la più talentuosa tra esse. Quando poi ci troviamo davanti un Alberto carico a molla e un Giuseppe Chiara che esegue il suo compito nel migliore dei modi (non ci sono quindi più dubbi sul perché sia stato scelto), cosa potrebbe andare storto?

In realtà quando si avvicina la fine del set e qualche piccola tensione sul palco si percepisce. Viene quasi naturale il pensiero che la sfuriata e l’uscita di scena anticipata stiano diventando parte integrante dello show, come se fossero l’encore dei Verdena. Ma questa volta tutto funziona e quelli che potrebbero sembrare avvii di rottura invece sono solo piccoli giochi tra musicisti sul palco, travestiti da paranoie per i fan sotto palco.

Dopo quasi due ore di show si esce con la consapevolezza di aver assistito ad un grande concerto, il meglio che l’alternative del nostro Paese possa offrire al giorno d’oggi. Esserci è stato un bene, chissà come andrà la prossima volta.
xl.repubblica.it
Foto di: Alessandro Bosio

Nessun commento:

Posta un commento