lunedì 2 marzo 2015

La ricetta dei Verdena per il tutto esaurito: «Rimanere noi stessi»

Il terzetto bergamasco: «Ogni volta che sentiamo un suono nuovo ci viene voglia di farci qualcosa»

di Raffaella Oliva (from http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_marzo_01/verdena-concerto-alcatraz-tutto-esaurito-97eb2c80-c00b-11e4-9f09-63afc7c38977.shtml)

Arrivare in alto nella classifica degli album più venduti, riempire club sparsi in tutta la penisola, tutto senza essere mainstream. Lascia quasi attoniti il successo dei Verdena, dato che rispetto alla scena musicale nostrana il terzetto bergamasco, fautore di un rock alternativo che pesca con personalità dal grunge come dalla psichedelia e dal pop, è un caso più unico che raro. Dopo il fortunato «Wow», il precedente disco del 2011, i fratelli Alberto e Luca Ferrari - rispettivamente voce/chitarra e batteria - e la bassista Roberta Sammarelli sono tornati con «Endkadenz Vol. 1», ottima prova dopo 20 anni di carriera, che presenteranno domani all’Alcatraz con un concerto sold out da settimane. «Il risultato di due anni di lavoro», spiega Alberto, 36 anni. «Ci siamo trovati per sei ore di jam al giorno senza niente di prefissato in testa, suonando a caso. Dopo le sessioni arrivavo a casa, mi riascoltavo quello che avevamo registrato e scremavo. Alla fine avevamo 12 cd da più di 30 pezzi l’uno».

Piuttosto prolifici...

«Per fortuna sì, sarà che ci strippiamo con le “cosine” che sviluppano “cosone”. Partendo da un pedalino fatto da amici musicisti di Roma abbiamo scritto una decina di brani, altri 15 sono nati da un piano a muro poco costoso, un’altra decina da un effetto alla voce. Ci entusiasma il cambiamento, non appena sentiamo un suono nuovo ci viene voglia di farci qualcosa».

Siete stati influenzati anche da qualche ascolto?

«Gli unici che non ho mai smesso di ascoltare sono i Beatles. Dopodiché della musica italiana apprezzo la melodia, alcune cose di Dalla e Battisti, ma in generale ho sempre avuto un rigetto per i testi italiani, non mi piacciono, m’intristiscono. Semmai in questi anni ci siamo fissati parecchio con gli Uncle Acid, gruppo che propone un nuovo tipo di stoner psichedelico e luciferino, e con l’ultimo album, distortissimo, di Philip Anselmo, il cantante dei Pantera. Però non siamo impazziti veramente per nulla, non c’è più niente oltre noi stessi».

Forse la genuinità che molti vi riconoscono dipende da questo?

«Può darsi. La musica è per me una cosa talmente giurassica, che mi esce da dentro, che la vivo come agli inizi. I risultati fanno piacere, ma non ci hanno cambiati. Abbiamo rischiato di farci più male quando uscì il primo disco, quella sì che fu una sberla che ci costrinse a fuggire da una specie di trappola; per fortuna, non senza azzardi, ce l’abbiamo fatta».

A quale trappola ti riferisci?

«Un mondo dove tutti ti riempiono di complimenti, ti coccolano... Sapeva di trappola, potevamo restare imprigionati, invece ne siamo fuori, anche i nostri discografici hanno capito come siamo e tendono a non dirci più niente, né di brutto né di bello, e a noi va bene così».

E nel futuro?

«Non sarebbe male conquistare il mercato estero, ma non con i testi tradotti in inglese: vorremmo riuscirci con i nostri brani in italiano».

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