
Lo si aspettava come uno dei concerti dell’anno e le aspettative non sono state affatto deluse: l’accoppiata Verdena/Flaming Lips, più azzeccata che mai, ha rovesciato sul pubblico delGruVillage a Grugliasco due ore e mezza di ottima musica, manifestando in maniera puntuale le visioni artistiche di due gruppi che molto hanno in comune e in molto si differenziano: entrambi estremamente coinvolgenti dal vivo, abilissimi a mischiare i generi e gli approcci alla composizione, ma più orientati verso una componente intimistica gli italiani, più verso quella ludica e collettiva gli americani.
Salgono precisi alla 22 sul palco del GruVillage iVerdena; tranquilli ma concentratissimi, attingono soprattutto da Wow e Requiem per i pezzi del live, alternando momenti di grande esplosività a lunghe code psichedeliche. Il pubblico li conosce bene e fa sentire la propria partecipazione, strappando qualche sorriso divertito ad Alberto Ferrari. I quarantacinque minuti di esibizione si caratterizzano per una violenza minore di quella consueta, ma sono comunque tiratissimi: ottime Don Calisto e Loniterp, il meglio arriva con la coppia Miglioramento/Canos, praticamente attaccate, che mostrano alla perfezione la molteplicità dei riferimenti musicali sfruttati dalla band e, in circa 7 minuti, danno un senso a gran parte della musica degli anni ’80 (la prima) e ’90 (la seconda).
I Flaming Lips iniziano a camminare sul palco mentre ancora si preparano i microfoni e si posizionano gli strumenti; dopo una decina di minuti si presentano tutti insieme (accompagnati da quattordici ragazze vestite alla maniera di Alice Nel Paese Delle Meraviglie che balleranno ai lati del palco per tutto il concerto) armati di chitarre, basso, batteria, Iphone, enormi guanti da cui partono raggi luminosi, cannoni e fucili che sparano ghirlande e festoni ed enormi palloni colorati da far rotolare sulla folla; c’è anche un grosso dinosauro di gomma: inscindibile il binomio musica- spettacolo che ha caratterizzato la band fin dai suoi esordi. Il live è una festa (e le facce del pubblico - a metà tra estasi e la gioia instupidita del bambino che deve aprire i regali- lo conferma: è una festa) tra coriandoli colorati, luci impazzite, pop e psichedelia; le esecuzioni, impeccabili, abbracciano lunghi ipnotismi (What is the light, Supermoon made me want to pee, Powerless, Worm mountain) e pezzi più classici (The Yeah Yeah Yeah Song, Ego tripping at the gates of hell), fino al bis e al tris finale con la gioiosa (ma non troppo) Do You realize?. È chiaro che Wayne Coyne si diverte a rotolare sul pubblico dentro un pallone di plastica trasparente, a lanciare ghirlande, a far confluire nelle proprie composizioni tutto quello che gli passa per la testa; a conferire unità al tutto c’è la naturalezza con cui i Flaming Lips imbandiscono questa festa psichedelica e l’ironia che pervade tutto lo show: riflessione maliziosa, beffarda, disincantata, comica e divertita sul mondo d’oggi disperso, colorato, sempre più multiforme e frantumato. Forse è così o forse Wayne Coyne ci sta due volte prendendo in giro, facendoci credere questo (che comunque, essendo percepito, in qualche modo vero è) quando invece tutto quello che gli interessa è fare casino, suonare, rimodellare i Pink Floyd e scoppiare palloncini.
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